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LEGGIAMO LE ANALISI DEL SANGUE

Ad ogni donazione, dovunque venga fatta, il sangue prelevato viene sottoposto ad analisi presso i laboratori degli Ospedali di Atessa e Lanciano ed i relativi risultati vengono inviati direttamente al domicilio del donatore entro un mese circa.

Questo permette che il donatore abbia un continuo controllo gratuito della proprio stato di salute.

Ogni anno il donatore effettua un check-up, gratuito, semplicemente richiedendo l’impegnativa all’AVIS nei giorni di prelievo, comprendente: analisi del sangue anche quelle richieste, le analisi delle urine, visita cardiologica e relativo elettrocardiogramma.

Capire e interpretare gli esami di laboratorio è compito del medico. I valori dei test ematici, infatti, molto raramente dicono qualcosa presi singolamente. Possono assumere un vero (e attendibile) significato solo se visti nel loro insieme e associati alle condizioni per le quali sono stati richiesti, e alle caratteristiche del paziente, coi suoi sintomi, la sua età, le sue caratteristiche. Lo scopo delle informazioni che si possono trovare qui sotto non è quindi di indurre a un pericoloso (sottolineiamo: «pericoloso», non solo inutile) «fai da te» nella lettura degli esami del sangue, ma piuttosto di fornire una base culturale per capirsi meglio col medico, e prepararsi, eventualmente, a fare le domande giuste.

EMOCROMO (globuli rossi & C) Globuli rossi

Emoglobina

Ematocrito

Globuli bianchi

Piastrine

Mcv

Mchc

Rdw

Elettroforesi

GLI ESAMI PER IL FEGATO Transaminasi

Fosfatasi alcalina

Gamma GT

Bilirubina

GLI ESAMI PER IL RENE Creatininemia

Azotemia (Urea)

GLI ESAMI PER CUORE E

METABOLISMO Glicemia

Colesterolo

Proteina C reattiva

Trigliceridi

Calcio

Paratormone

Vitamina D (calcidiolo e calcitriolo)

Calcitonina

GLI ESAMI PER IL FERRO Sideremia (ferro serico)

Transferrina (capacità ferro-legante)

Ferritina

REFERTI VIROLOGICI 

(presenti ad ogni donazione ) HBs Ag

HIV- Ab ½

HCV Ab

Sierodiagnosi LUE

EMOCROMO (globuli rossi & C)

E’ l’esame «del sangue» per eccellenza. Misura globuli rossi, globuli bianchi, piastrine e diversi parametri correlati

Che cosa misura

L’emocromo è anche definito esame emocromocitometrico, che letteralmente significa misurazione del colore del sangue e del numero delle sue cellule. Di fatto questo esame consente di determinare:

– il numero di tutte le cellule del sangue, cioè globuli rossi (eritrociti), globuli bianchi (leucociti) e piastrine

(trombociti);

– la formula leucocitaria, ossia la percentuale dei diversi tipi di globuli bianchi: neutrofili, linfociti, monociti, eosinofili e basofili;

– la concentrazione dell’emoglobina, la proteina dei globuli rossi che trasporta l’ossigeno ai vari tessuti del corpo;

– l’ematocrito, che è il volume di globuli rossi contenuto in 100 ml di sangue: per esempio, se l’ematocrito è 40 significa che ci sono 40 ml di globuli rossi in 100 ml di sangue;

– l’analisi delle caratteristiche fisiche (forma, dimensioni) dei globuli rossi e delle piastrine. Queste sono indicate da speciali parametri come MCV (misura delle dimensioni medie di un globulo rosso), MCH (indica la quantità media di emoglobina contenuta in un globulo rosso), MCHC (indica la concentrazione di emoglobina in un globulo rosso), RDW (indica le variazioni delle dimensioni dei globuli rossi) e MPV (misura delle dimensioni medie di una piastrina).

Quando e perché il test è indicato

L’emocromo è l’esame del sangue più eseguito. Serve a valutare lo stato di salute generale e a determinare la presenza di alcune malattie, soprattutto anemie e infezioni. Viene quindi prescritto a soggetti sani come esame di routine, a individui che manifestano sintomi tipici dell’anemia (stanchezza e affaticamento) e in coloro che sono affetti da infezioni ricorrenti, infiammazione, prurito, emorragie. In questo modo il medico può accertare i suoi sospetti ed eventualmente prescrivere esami più approfonditi per stabilire una diagnosi precisa di malattia.

Come si fa il test

L’emocromo può essere eseguito su un campione di sangue prelevato dalla vena di un braccio. Sono sufficienti anche poche gocce di sangue prelevato con un piccolo ago dalla punta di un dito o da un piede (nei neonati).

Quali sono i valori normali e come interpretare i valori anomali

Le seguenti tabelle mostrano i valori normali e anomali dei parametri misurati con il test dell’emocromo:

GLOBULI ROSSI (RBC – numero dei Globuli rossi)

Valori normali uomo Valori normali donna Se aumentano Se diminuiscono

4,4-5,6 milioni/microlitro 3,9-4,9 milioni/microlitro produzione in eccesso, perdite di liquidi (diarrea, ustioni, disidratazione), malattia cardiaca congenita anemia, emorragie, malattie renali, malnutrizione, carenze di ferro e vitamine B6, B9 e B12

EMOGLOBINA (HGB – valore che viene rilevato anche prima del prelievo con la puntura al dito)

Valori normali uomo Valori normali donna Se aumentano Se diminuisce

13-18 g/dl 12-16 g/dl disidratazione, eccessiva produzione di globuli rossi (policitemia), gravi malattie polmonari malattie ereditarie (talassemie, anemia falciforme), carenza di ferro e vitamine B6, B9 e B12, emorragie, eccessiva distruzione dei globuli rossi (emolisi), anemie, malattie renali, cirrosi epatica

EMATOCRITO (HCT – indica il volume totale in percentuale dei globuli rossi rispetto al sangue intero)

Valori normali uomo Valori normali donna Se aumentano Se diminuisce

40-54 % 36-52 % disidratazione, eccessiva produzione di globuli rossi (policitemia) causata da malattie del midollo osseo, da disturbi polmonari o da farmaci che stimolano la produzione di globuli rossi anemie, soprattutto da carenza di ferro, emorragie, carenza di vitamine e altri minerali, cirrosi epatica

GLOBULI BIANCHI E FORMULA LEUCOCITARIA

Valori normaliSe aumentanoSe diminuiscono

% LUC – % di Globuli bianchi 4-10,8 milioni/microlitro infezioni, infiammazione, leucemie, traumi, stress malattie autoimmuni, infezioni gravi, malattie del midollo osseo, assunzione di alcuni farmaci (es. metotrexato)

% NEUT – % dei Neutrofili (ci difendono dalle infezioni) 40-75 % infezioni batteriche e fungine, malattie infiammatorie, alcuni tipi di leucemia infezioni gravi, chemioterapia

% LIMPH – % dei Linfociti (implicati nelle infiammazioni e nelle infezioni) 20-45 % Infezioni, infiammazione malattie del sistema immunitario (lupus), stadi terminali dell’AIDS

% MONO – % dei Monociti (implicati nelle infezioni e alcuni tumori) 3-7 % infezioni virali, alcuni tipi di leucemie e tumori del midollo osseo, radioterapia alcune malattie del midollo osseo, alcuni tipi di leucemie

%EOS – % dei Eosinofili) 1-5 % allergie, infezioni di parassiti, scarlattina insufficienza renale cronica, shock anafilattico, traumi, interventi chirurgici, uso di farmaci cortisonici

% BASO – % dei Basofili (implicati nelle allergie, alcune leucemie e infezioni) 0-1 % alcuni tipi di leucemie, infezioni croniche, reazioni allergiche verso gli alimenti e in seguito a radioterapia

PIASTRINE

Valori normaliSe aumentanoSe diminuisce

Piastrine 150.000- 400.000/microlitro alcune malattie ereditarie (sindromi di Wiskott-Aldrich e Bernard-Soulier), malattie autoimmuni (lupus, porpora trombocitopenica idiopatica), assunzione di alcol e di alcuni farmaci (eparina, antidiabetici, diuretici tiazidici), radioterapia, tumori del midollo osseo, ulcere gastriche con sanguinamenti cronici, emorragie alcuni tipi di leucemie e malattie che causano una crescita alterata delle cellule del sangue, pillola contraccettiva

MPV (volume medio piastrinico) 7,2-11,1 micrometri al cubo Il parametro varia con la produzione delle piastrine: di solito le piastrine più giovani sono più grosse di quelle vecchie Il parametro varia con la produzione delle piastrine: di solito le piastrine più giovani sono più grosse di quelle vecchie

MCV (volume corpuscolare medio)

Valori normali Se aumenta Se diminuisce

81-96 micrometri al cubo carenza di vitamine B9 e B12 carenza di ferro, talassemie

MCHC (concentrazione emoglobinica corpuscolare media)

Valori normali Se aumenta Se diminuisce

31-36 g/dl disidratazione, aumento dell’emoglobina quando diminuisce MCV

RDW

Valori normali Se aumenta Se diminuisce

11-15 % un suo aumento può indicare la presenza di globuli rossi di forme diverse.

MCH (contenuto emoglobinico corpuscolare medio)

Valori normali Se aumenta Se diminuisce

27-34 picogrammi riflette i risultati di MCV riflette i risultati di MCV

ELETTROFORESI DELLE PROTEINE PLASMATICHE

L’esame serve a verificare la quantità e la qualità delle proteine che circolano nel sangue

Che cosa misura

L’elettroforesi del plasma è una tecnica che analizza le proteine presenti nel plasma, cioè la parte liquida del sangue. Con questo esame vengono separate ed esaminate le seguenti proteine: l’albumina , la più abbondante, le alfa1 globuline, le alfa2 globuline, le beta globuline e le gamma globuline. Alcune proteine plasmatiche sono prodotte dal fegato, mentre altre vengono rilasciate nel sangue da cellule che fanno parte del sistema immunitario, il sistema di difesa naturale dell’organismo. Le proteine plasmatiche sono indicatori molto importanti, perché alterazioni delle loro concentrazioni possono mettere in luce un gran numero di malattie.

Quando e perché il test è indicato

L’esame viene usato per facilitare la diagnosi di una malattia maligna chiamata mieloma multiplo, soprattutto quando siano presenti alcuni sintomi come dolore alle ossa, stanchezza, infezioni ricorrenti, anemia e fratture ossee senza cause apparenti. Anche la diagnosi di altri disturbi può essere facilitata da questo esame: per esempio, malattie infiammatorie e autoimmunitarie, infezioni croniche e acute, malattie dei reni e del fegato, disturbi del sistema immunitario (gammopatie) e condizioni di malnutrizione.

Come si fa il test

L’esame viene eseguito su un campione di plasma. Per ottenerlo si effettua un prelievo di sangue dalla vena di un braccio e si separa la frazione contenente le cellule da quella liquida. Prima di effettuare il prelievo è necessario un digiuno di 10-12 ore. Inoltre, si sconsiglia di sottoporsi all’esame se si è in trattamento con un antibiotico, perché questo potrebbe alterare i risultati.

Quali sono i valori normali e come interpretare i valori anomali

La concentrazione normale delle proteine plasmatiche totali è 6-8 g/dl. La tabella seguente mostra invece i valori di riferimento delle singole proteine plasmatiche:

I valori normali e alterati

Proteina plasmatica Valori normali Se aumenta Se diminuisce

albumina 3,6-4,9 g/d l disidratazione, vomito, diarrea, eccessiva sudorazione malnutrizione, digiuno prolungato, malassorbimento, malattie renali ed epatiche, alcolismo, ustioni, infiammazioni, ipertiroidismo, gravidanza

alfa1 globuline 0,2-0,4 g/dl malattie infiammatorie croniche, malattie infettive, infarto cardiaco, assunzione pillola contraccettiva, gravidanza malattie epatiche gravi, una malattia ereditaria rara chiamata enfisema congenito, malattie renali

alfa2 globuline 0,4-0,8 g/dl malattie renali, malattie infiammatorie croniche e acute, infezioni, infarto cardiaco, sindrome di Down, diabete, alcuni tumori maligni malattie epatiche gravi, diabete, ipertiroidismo, rottura dei globuli rossi (emolisi), artrite reumatoide

beta globuline 0,6-1 g/dl anemia da carenza di ferro, alcuni casi di mieloma multiplo, ipercolesterolemia (elevati livelli di colesterolo nel sangue), gravidanza malnutrizione, cirrosi

gamma globuline 0,9-1,4 g/dl alcune malattie del sistema immunitario dette gammopatie (MGUS), mieloma multiplo, malattie epatiche croniche (epatite, cirrosi), infezioni, alcuni tumori, artrite reumatoide, lupus alcune malattie ereditarie del sistema immunitario

Informazioni aggiuntive

L’assunzione di alcuni farmaci come aspirina, bicarbonati, clorpramazina, corticosteroidi, neomicina, possono alterare i risultati dell’elettroforesi delle proteine plasmatiche.

GLI ESAMI PER IL FEGATO

Sono diversi i test ematici che possono dare indicazioni sullo stato di salute del fegato. E’ importante valutarli nel loro insieme

TRANSAMINASI

Le transaminasi sono enzimi, cioè sostanze proteiche, che si trovano soprattutto nelle cellule del fegato. I loro livelli nel sangue sono utili per valutare il corretto funzionamento del fegato, ma possono anche riflettere lo stato di salute del cuore e dell’apparato scheletrico. Negli esami di routine si misurano: la trasaminasi ALT (o GPT), che riguarda soprattutto il fegato, e la transaminasi AST (o GOT), che riguarda invece il cuore e lo scheletro.

– Alt (o Gpt)
Che cosa misura

L’esame misura la concentrazione di ALT (alanino amino transferasi) nel sangue. L’ALT può essere anche indicata con la sigla GPT (glutammato piruvato transaminasi). ALT è una transaminasi, cioè un tipo di enzima che si trova in diversi organi e tessuti: è presente soprattutto nel fegato, ma si trova anche nel cuore, nei muscoli e nei reni. In condizioni normali i suoi livelli nel sangue sono bassi, ma in presenza di una malattia del fegato, l’enzima viene liberato in circolo e i suoi livelli aumentano anche prima del manifestarsi di sintomi più ovvi di alterazione epatica.

Quando e perché il test è indicato

Insieme a bilirubina, AST e AlPh, l’ALT fa parte degli esami che vengono prescritti di routine per valutare la funzionalità epatica e per determinare la presenza di una malattia del fegato. Viene infatti prescritto a quei pazienti che presentano segni o sintomi di un’alterazione della funzionalità epatica, come ittero, urine scure, nausea e vomito, dolore e gonfiore addominali. Il test dell’ALT può essere prescritto anche agli alcolisti, alle persone con una storia familiare di epatite, in caso di sospetta esposizione a virus dell’epatite o di assunzione di farmaci che hanno una comprovata tossicità per il fegato. L’ALT può essere anche misurata per valutare l’efficacia di una terapia in persone affette da una malattia epatica.

Come si fa il test

E’ sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio.

Quali sono i valori normali:

Uomini Donne

10-40 U/L* 5-35 U/L*

*L’unità di misura della ALT è U/L, che sta per unità di enzima per litro di sangue.

Come interpretare i risultati dell’esame

Valori superiori a quelli normali possono essere determinati da disturbi epatici come cirrosi, epatiti, ittero ostruttivo, metastasi epatiche. In particolare, nell’epatite acuta i livelli possono aumentare anche di 10 volte rispetto ai valori massimi normali, rimangono elevati per almeno due mesi e impiegano 3-6 mesi prima di rientrare nella norma. Nelle epatiti croniche e in altre malattie del fegato (come quelle da blocco delle vie biliari), le variazioni di ALT sono più lievi; per questo il medico deve spesso ripetere l’esame prima di emettere una diagnosi. L’aumento di ALT può dipendere anche da malattie che colpiscono organi e tessuti diversi dal fegato: per esempio, distrofie muscolari, scompenso circolatorio, traumi, obesità, pancreatite, distruzione dei globuli rossi (emolisi) e mononucleosi (la cosiddetta malattia del bacio).

Informazioni aggiuntive

I livelli di ALT possono aumentare in seguito a iniezioni intramuscolari di farmaci o dopo un esercizio muscolare sostenuto.

– Ast (o Got)
Che cosa misura
L’esame misura la concentrazione di AST (aspartato amino transferasi) nel sangue. L’AST può essere anche indicata con la sigla GOT (glutammico ossalacetico transaminasi). L’AST è un enzima localizzato per lo più nel cuore e nel fegato; anche se in concentrazioni inferiori, esso si trova anche nei muscoli, nei reni, nel cervello e nel pancreas. In condizioni normali AST è presente nel sangue a bassi livelli, ma quando il fegato o il cuore subiscono un danno, esso viene liberato in circolo e i suoi livelli nel sangue aumentano.

Quando e perché il test è indicato

Insieme a bilirubina, ALT e AlPh, l’AST fa parte degli esami che vengono prescritti di routine per valutare la funzionalità epatica e per determinare la presenza di una malattia del fegato. Viene infatti prescritto a quei pazienti che presentano segni o sintomi di un’alterazione della funzionalità epatica, come ittero, urine scure, nausea e vomito, dolore e gonfiore addominali. Può essere richiesto anche per alcolisti, persone con una storia familiare di epatite, in caso di sospetta esposizione a virus dell’epatite o assunzione di farmaci che hanno una compravata tossicità per il fegato. Nonostante l’AST sia presente nel cuore e nei muscoli, esso non è di norma utilizzato per valutare eventuali lesioni del muscolo cardiaco o degli altri muscoli; in questi casi si preferisce infatti utilizzare un altro enzima, la creatin fosfochinasi (CPK), che è presente a livello muscolare in concentrazioni più elevate.

Come si fa il test

E’ sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio.

Quali sono i valori normali:

Uomini Donne

10-40 U/L* 5-30 U/L*

*L’unità di misura della ALT è U/L, che sta per unità di enzima per litro di sangue.

Come interpretare i risultati dell’esame

Valori superiori a quelli ritenuti normali possono essere determinati da malattie del fegato. In particolare nell’epatite acuta i livelli possono aumentare anche di 10 volte rispetto ai valori massimi normali, rimangono elevati per almeno due mesi e impiegano 3-6 mesi prima di rientrare nella norma. Nelle epatiti croniche e in altre malattie del fegato (come quelle da blocco delle vie biliari), le variazioni di AST sono più lievi; per questo il medico deve spesso ripetere l’esame prima di emettere una diagnosi. In genere AST aumenta più di ALT nel caso di malattie del fegato dovute ad alcolismo. Un aumento di AST si osserva anche in seguito a un infarto cardiaco o a una lesione muscolare. Valori inferiori rispetto a quelli normali possono invece essere determinati da: dialisi, diabete, gravidanza.

FOSFATASI ALCALINA

Che cosa misura

L’esame consente di misurare la concentrazione della fosfatasi alcalina (AlPh) nel sangue. La AlPh è un enzima presente in diversi tessuti del corpo. In particolare, essa si trova nelle ossa e nelle cellule del fegato che formano i dotti biliari (i canalicoli che trasportano la bile all’intestino dove è necessaria per la digestione dei grassi). Sebbene in concentrazioni inferiori, la AlPh è presente anche nelle cellule intestinali e nella placenta. Tutte queste parti del corpo producono forme diverse di fosfatasi alcalina, che sono definite isoenzimi. La AlPh è presente anche nel sangue, ma a livelli bassi; in caso di malattie del fegato o delle ossa essa può aumentare.

Quando e perché il test è indicato

L’esame è usato per evidenziare malattie del fegato (soprattutto delle vie biliari) e delle ossa, per seguirne la progressione o per valutare l’efficacia di un eventuale trattamento terapeutico. Il medico prescrive il test della AlPh come parte degli esami di funzionalità epatica che vengono effettuati di routine (bilirubina, transaminasi AST e ALT), oppure quando il paziente presenta i sintomi di un disturbo epatico o osseo.

Come si fa il test

E’ necessario un semplice prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Il digiuno è consigliato, ma non necessario, poiché AlPh aumenta, ma solo lievemente, nelle ore successive a un pasto.

Quali sono i valori normali

I valori della AlPh nel sangue variano a seconda dell’età. In particolare, nei bambini piccoli e negli adolescenti, essa aumenta per effetto della crescita delle ossa. Nella tabella seguente sono riportati i valori normali per le diverse fasce d’età:

Adulti Adolescenti 10-15 anni anni Bambini 1-10 anni Bambini fino a 1 anno

50-190 U/L* 130-700 U/L* 110-550 U/L* 110-700 U/L*

*L’unità di misura della AlPh è U/L, che sta per unità di enzima per litro di sangue.

Come interpretare i risultati dell’esame

Quando un paziente ha segni evidenti di malattia epatica livelli elevati di AlPh indicano un blocco dei dotti biliari. In generale, livelli di AlPh superiori alla norma sono indice di una malattia del fegato o delle ossa. Se anche gli altri esami di funzionalità epatica, come bilirubina e transaminasi (AST e ALT), sono elevati, AlPh può indicare una malattia del fegato, soprattutto a carico dei dotti biliari. Può trattarsi per esempio di carcinoma biliare, metastasi epatica, epatite o cirrosi biliare. In particolare, in caso di ostruzione dei dotti biliari, AlPh e bilirubina aumentano più delle transaminasi. Quando invece insieme a AlPh aumentano anche calcio e fosfato, è più probabile che il disturbo riguardi l’apparato scheletrico. Le malattie delle ossa associate ad aumento di AlPh sono: morbo di Paget, metastasi ossee, artrite deformante, osteomielite, rachitismo, sarcoidosi, fratture ossee. Quando il medico non riesce a trovare la causa dell’aumento di AlPh, si può effettuare il cosiddetto test degli isoenzimi, che consente di determinare quale forma di AlPh sia aumentata, se quella ossea o quella epatica. Una riduzione di AlPh nei pazienti con tumore al fegato o alle ossa indica che il terapia adottata è efficace. Una diminuzione di AlPh può anche essere causata da ipotiroidismo, anemia, malnutrizione o età avanzata.

Informazioni aggiuntive

Un aumento della AlPh può essere causato anche da una dieta ricca di proteine. Inoltre, la forma placentare

dell’enzima aumenta durante la

GAMMA-GT (GGT)

Che cosa misura

L’esame misura la concentrazione di GGT, o gamma glutamil transpeptidasi, nel sangue. GGT è un enzima che si trova soprattutto nel fegato e che di norma è presente nel sangue a livelli molto bassi. In presenza di un danno epatico, però, la quota di GGT nel sangue aumenta. In particolare, GGT è considerato l’enzima epatico più sensibile per rilevare problemi a carico dei dotti biliari (i canali che consentono il passaggio della bile dal fegato all’intestino, dove contribuisce alla digestione dei grassi).

Quando e perché il test è indicato

In genere il medico prescrive questo test in associazione ad altri esami di funzionalità epatica (fosfatasi alcalina, bilirubina, transaminasi AST e ALT), per valutare la presenza di una malattia del fegato o dei dotti biliari. Perciò l’esame è indicato per quei soggetti che manifestano segni o sintomi di una malattia epatica quali: ittero, nausea e vomito, gonfiore e dolori addominali, urine scure, sensazione di fatica e malessere generale, prurito. L’esame può essere inoltre utilizzato per distinguere tra una malattia delle ossa e un disturbo epatico nei casi di livelli elevati di fosfatasi alcalina, un altro enzima che può essere misurato con un test specifico. Il GGT è utilizzato anche nel caso di un sospetto abuso di alcol: infatti, esso risulta aumentato nel 75 per cento dei bevitori cronici.

Come si fa il test

E’ sufficiente un prelievo di sangue dalla vena di un braccio. E’ preferibile effettuare l’esame dopo almeno otto ore di digiuno, perché il GGT diminuisce subito dopo i pasti. Si consiglia inoltre di evitare di bere alcolici nelle 24 ore precedenti l’esame, perché anche quantità minime di alcol possono causare temporanei aumenti del GGT. In questo caso il medico sarebbe costretto a far ripetere l’esame.

Quali sono i valori normali

Esiste una variabilità che dipende dal sesso e dall’età: il GGT tende ad aumentare con l’età nelle donne, ma non negli uomini. Comunque rimane sempre più elevato nei maschi rispetto alle femmine

Neonati Donne Uomini

10-100 U/L* 4-18 U/L* 6-28 U/L*

*L’unità di misura del GGT è U/L, che sta per unità di enzima per litro di sangue.

Come interpretare i risultati dell’esame

Livelli di GGT bassi o normali non destano preoccupazioni perché sono indicativi di una buona funzionalità epatica: le probabilità che il paziente soffra di una malattia del fegato sono quindi basse. In alcuni casi la riduzione del GGT potrebbe dipendere dall’assunzione di certi farmaci, come la pillola anticoncezionale o i clofibrati (usati per abbassare i livelli di grassi nel sangue). Valori elevati di GGT indicano invece che qualcosa non va a livello del fegato o dei dotti biliari; quanto più alto è il GGT, tanto più grave è il danno epatico. Tuttavia un semplice aumento del GGT non permette al medico di discriminare tra una malattia e l’altra; per questo motivo l’uso del GGT è controverso e le linee guida dell’Associazione americana per lo studio delle malattie epatiche non lo raccomandano come esame di routine. Un GGT alto può anche essere indice di abuso di alcol o di alcuni farmaci, tra cui gli antinfiammatori non steroidei (FANS), certi antidepressivi, alcuni antibiotici, antistaminici e ormoni come il testosterone. In questi casi non si riscontrano alterazioni degli altri enzimi epatici. Quando la fosfatasi alcalina è aumentata, se anche il GGT lo è, allora si può sospettare una disfunzione epatica o biliare; se invece il GGT è nella norma, è più probabile che l’aumento di fosfatasi alcalina sia spia di una malattia delle ossa.

Informazioni aggiuntive

Il fumo da sigaretta può far aumentare il GGT.

BILIRUBINA TOTALE, DIRETTA E INDIRETTA

Che cosa misura

L’esame misura la concentrazione di bilirubina nel sangue. La bilirubina è una sostanza che deriva prevalentemente dalla demolizione dell’emoglobina, la proteina che lega l’ossigeno nei globuli rossi. Ogni 120 giorni i globuli rossi vengono rinnovati e l’emoglobina viene degradata, dando origine alla bilirubina; per essere eliminata, la bilirubina dev’essere trasformata da alcune reazioni che hanno luogo nel fegato. Ma se il fegato si ammala o se vengono distrutti globuli rossi in eccesso, la bilirubina nel sangue aumenta e ciò causa ittero, una condizione caratterizzata dal tipico colorito giallastro della pelle e del bianco degli occhi. Della bilirubina totale presente nel sangue si possono distinguere due frazioni: la bilirubina indiretta (non ancora trasformata dal fegato), che rappresenta la frazione più cospicua, e quella diretta (già trasformata dal fegato). La bilirubina diretta viene poi riversata nell’intestino dove la flora batterica ne favorisce la degradazione, convertendola in composti che vengono eliminati con le feci.

Quando e perché il test è indicato

Questo esame è indicato per determinare la presenza di una malattia del fegato (cirrosi, epatite, calcoli biliari) e per seguirne la progressione. In genere il medico prescrive il test della bilirubina in associazione ad altri esami di funzionalità epatica (fosfatasi alcalina e transaminasi AST e ALT), alle seguenti categorie: 1. pazienti che manifestano segni o sintomi di danno epatico (ittero, nausea, urine scure, dolori addominali, fatica e malessere generale); 2. coloro che abbiano avuto una storia di alcolismo; 3. individui con sospetta esposizione ai virus dell’epatite. Nei neonati la misurazione della bilirubina è considerata una pratica di routine. Infatti, nei primi tre giorni di vita, la maggior parte dei bambini manifesta una forma di ittero, l’ittero fisiologico, perché il loro sistema epatico di degradazione dell’emoglobina non è ancora del tutto sviluppato. Tuttavia questa situazione si risolve da sola entro pochi giorni. In alcuni casi, però, l’ittero del neonato può essere dovuto a un’eccessiva degradazione dei globuli rossi causata dall’incompatibilità del suo gruppo Rh con quello della madre. In questa evenienza è necessario tenere controllati i livelli di bilirubina, perché nelle prime 2-4 settimane di vita essa può essere tossica per il sistema nervoso.

Come si fa il test

Negli adulti si effettua un prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Nei neonati, invece, si utilizza una specie di ago che, inserito nel piede, consente di raccogliere in un piccolo tubo qualche goccia di sangue.

Quali sono i valori normali:

Bilirubina totale Bilirubina indiretta Bilirubina diretta

Valori normali 0,2-1 mg/dl 0,2-0,8 mg/dl 0-0,2 mg/dl

Come interpretare i risultati dell’esame

Un eccesso di bilirubina indiretta può essere dovuto a:

1. un’aumentata distruzione dei globuli rossi (emolisi), che si verifica nell’anemia emolitica, o altri difetti della produzione dell’emoglobina (talassemia, anemia perniciosa e falciforme);

2. alcune malattie ereditarie che alterano la capacità del fegato di convertire la bilirubina indiretta in quella diretta, come le sindromi di Gilbert e Crigler-Najjar;

3. ittero fisiologico dei neonati e dei prematuri e reazione di incompatibilità tra Rh materno e quello del neonato;

4. effetto collaterale di alcuni farmaci come steroidi e rifampicina (un antibiotico usato per la cura della tubercolosi).

Un aumento della bilirubina diretta può dipendere da:

1. alcune malattie ereditarie come le sindromi di Dubin-Johnson e Rotor;

2. malattie del fegato come cirrosi, epatiti virali ed epatite tossica;

3. ostruzioni delle vie biliari dovute per esempio a calcoli o tumori del fegato o del pancreas;

4. effetto collaterale di alcuni tipi di farmaci come: pillola anticoncezionale, alcuni tipi di antibiotici (tetracicline), steroidi, antinfiammatori non steroidei (FANS).

Una diminuzione dei livelli di bilirubina totale, indiretta e diretta può invece essere causata da:

1. alcuni tipi di anemie (aplastica, sideropenica);

2. assunzione di certi sedativi, i barbiturici.

GLI ESAMI PER LA FUNZIONALITÀ RENALE

Per verificare se il rene funziona bene o meno gli esami del sangue più utili sono la creatininemia e l’azotemia

CREATININEMIA

Che cosa misura

L’esame misura la concentrazione della creatinina nel sangue. La creatinina è un prodotto di scarto che deriva dal muscolo e viene riversato nel sangue. Essa viene filtrata dai reni ed è poi eliminata dal corpo attraverso le urine. Per questo la creatinina è usata come indice della funzionalità renale: infatti se i suoi livelli nel sangue aumentano, significa che i reni non riescono a farla passare nelle urine e quindi non svolgono bene il loro lavoro.

Quando e perché il test è indicato

Il test della creatinina rientra negli esami che vengono prescritti di routine. L’esame è indicato per individui che hanno problemi di salute generici e nei casi di sospetta alterazione della funzionalità renale. Inoltre l’esame della creatinina viene utilizzato in coloro che soffrono di disturbi renali sia per tenere sotto controllo la progressione della malattia, sia per accertare l’efficacia dei farmaci adottati. Anche nelle persone dializzate la creatinina viene misurata con una certa frequenza.

Come si fa il test

E’ sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio.

I valori normali della creatininemia:

Bambini con meno di 2 anni Uomini Donne

0,3-0,6 mg/dl 0,7-1,2 mg/dl 0,6-1,2 mg/dl

Come interpretare i risultati dell’esame

Un aumento della creatinina nel sangue rispetto ai valori normali indica soprattutto malattie a carico dei reni come: insufficienza renale, infezioni batteriche, ingrossamento o danno dei vasi renali (glomerulonefriti), malattie della prostata, calcoli renali e un ridotto flusso di sangue ai reni dovuto a scompenso cardiaco, arteriosclerosi o diabete. Anche altre condizioni possono produrre aumenti della creatinina nel sangue: poliartrite, una dieta ricca di proteine, eccessi sportivi, ingestione di creatina esogena con la dieta, traumi muscolari, ipertiroidismo. Una diminuzione rispetto ai valori normali può invece essere causata da: anemie, atrofia muscolare, ipotiroidismo, carcinoma prostatico, leucemia, gravidanza.

Informazioni aggiuntive

Oltre a misurare la creatinina sierica, cioè quella presente nel sangue, è possibile determinare anche quella contenuta nelle urine. Il test della creatinina urinaria viene effettuato su un campione di urine raccolte nelle 24 ore. Di solito la raccolta inizia la mattina, appena svegli, e continua per tutta la giornata fino alla mattina successiva. I valori normali della creatinina urinaria sono 0,8 g per 24 ore e dipendono dalla massa muscolare. Alcuni antibiotici alterano i livelli di creatinina nel sangue: gli aminoglicosidi la aumentano e possono produrre danni renali, mentre le cefalosporine la aumentano, senza però causare alcun danno renale.

AZOTEMIA (UREA)

Che cosa misura

L’esame misura la concentrazione di azoto non proteico nel sangue, cioè la concentrazione di urea nel sangue. L’urea è un composto di scarto che deriva dalla degradazione delle proteine. Essa è prodotta dal fegato e rilasciata nel sangue, per poi essere filtrata dai reni ed eliminata con le urine. L’azotemia indica con precisione la funzionalità dei reni. Valori diversi da quelli di riferimento segnalano un’imperfetta depurazione del sangue da parte dei reni.

Quando e perché il test è indicato

Insieme al test della creatinina, l’azotemia fa parte degli esami che vengono prescritti di routine per controllare la funzione renale. Esso è indicato:

1. a tutti coloro che lamentano un malessere non specifico;

2. ai soggetti che mostrano segni o sintomi di qualche alterazione renale; 3. per vedere se i reni funzionano prima di iniziare alcune terapie farmacologiche;

4. prima e durante i ricoveri ospedalieri;

5. per accertare l’efficacia della dialisi o di altri trattamenti in pazienti con malattie renali croniche e acute;

6. nelle persone che soffrono di malattie croniche come il diabete e lo scompenso cardiaco (controlli a intervalli regolari).

Come si fa il test

E’ sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio.

Quali sono i valori normali

I valori di riferimento sono: 10-50 mg/dl, con una variabilità che dipende dall’età e dal sesso. Nei bambini molto piccoli i valori sono circa il 60 per cento di quelli degli adulti; negli anziani (dopo i 60 anni) aumentano lievemente. Nelle donne si osservano in genere valori un poco più bassi rispetto agli uomini.

Come interpretare i risultati dell’esame

La maggior parte delle malattie dei reni o del fegato possono alterare i livelli di urea nel sangue. Infatti l’azotemia aumenta se il fegato produce più urea o se i reni ne filtrano meno. Valori superiori a quelli normali possono essere causati da malattie renali acute o croniche, da qualsiasi causa di ostruzione delle vie urinarie (calcoli), o da un ridotto flusso di sangue ai reni dovuto per esempio a scompenso cardiaco, shock, ustioni, traumi, emorragie. Anche altre condizioni possono far aumentare l’azotemia: una dieta ricca di proteine, il digiuno, alcune malattie infettive gravi (leptospirosi, tubercolosi renale, pielonefrite), la cirrosi, la gotta, le emorragie intestinali. Valori inferiori a quelli normali non sono molto comuni; possono essere causati da alcune malattie del fegato (epatiti), da un eccesso di idratazione, da una dieta povera di proteine o da malnutrizione. L’azotemia non è comunque utilizzata per diagnosticare o seguire queste condizioni.

Informazioni aggiuntive

Oltre ai due esami dell’azotemia e della creatinina, per valutare la funzionalità renale il medico può prescrivere anche i cosiddetti esami degli elettroliti: essi misurano le concentrazioni di alcune particelle cariche presenti nel sangue (ioni), come sodio, potassio e calcio.

Talvolta il medico valuta il rapporto tra azotemia e creatinina presente nel sangue, per capire meglio le cause di un aumento dei due parametri. Il rapporto è di norma compreso tra 10:1 e 20:1. Un rapporto più basso potrebbe essere dovuto a un ridotto flusso di sangue ai reni (scompenso cardiaco, disidratazione), a emorragie gastrointestinali o a diete iperproteiche. Invece, una riduzione del rapporto può essere causata da una malattia del fegato o da malnutrizione.

GLI ESAMI PER CUORE E METABOLISMO

¦ GLICEMIA (ZUCCHERO NEL SANGUE)

La glicemia a digiuno serve a misurare quanto glucosio è presente nel sangue. Indirizza, ma non basta, alla diagnosi di diabete

Cosa misura

Il test misura la concentrazione di glucosio nel sangue. Il glucosio è uno zucchero e rappresenta la principale risorsa di energia per l’organismo. I suoi livelli nel sangue dipendono dall’equilibrio tra la quantità di zucchero introdotta con la dieta o derivante dalle riserve corporee, e la quantità che viene utilizzata dai vari tessuti (muscoli, cervello, eccetera). Questo equilibrio è regolato da due ormoni: l’insulina e il glucagone. La prima viene rilasciata subito dopo un pasto e consente di mantenere la glicemia entro valori normali, favorendo l’assunzione e l’immagazzinamento del glucosio nelle cellule. Il secondo, invece, agisce tra un pasto e l’altro favorendo il rilascio di glucosio dal fegato quando i livelli nel sangue sono bassi.

Un’alterazione di questo sistema di regolazione può provocare condizioni di ipoglicemia (bassi livelli di glucosio nel sangue) o di iperglicemia (alti livelli di glucosio nel sangue), che possono essere anche fatali. Per esempio, nel diabete, uno stato di iperglicemia cronica può portare a un danno progressivo di organi come reni, occhi, nervi, cuore e vasi. L’ipoglicemia, invece, ha effetti gravi soprattutto sul sistema nervoso.

Quando e perché il test è indicato

L’esame serve a determinare se il glucosio nel sangue è nella norma o se sono presenti condizioni anomale di iperglicemia o ipoglicemia. Può essere dunque utilizzato per fare una diagnosi di diabete. A questo scopo esso è indicato per le seguenti categorie:

1. individui apparentemente sani, come parte degli esami del sangue di routine;

2. persone a rischio di diabete: con una storia familiare di diabete, in sovrappeso, di età superiore ai 40-45 anni;

3. individui con sintomi di iperglicemia (aumentata sete, aumentata produzione di urine, fatica, visione sfuocata);

4. individui con sintomi di ipoglicemia: (sudorazione eccessiva, ansia, confusione, tremori, fame);

5. malati di diabete che devono tenere sotto controllo i livelli di glucosio anche diverse volte durante la giornata.

Come si fa il test

Si utilizza un campione di sangue prelevato dalla vena di un braccio. Per un controllo personale della glicemia, pratica quotidiana nei malati di diabete, è sufficiente raccogliere poche gocce di sangue pungendo la pelle con un piccolo ago. L’esame viene eseguito a digiuno, ad almeno 8-10 ore dall’ultimo pasto

I valori normali di glicemia a digiuno:

Adulti Neonati

65-110 mg/dl 29-90 mg/dl

Valori di glicemia a digiuno e rischio di diabete:

Valori di glucosio a digiuno Rischio diabete

70-99 mg/dl nella norma

100-125 mg/dl a rischio diabete (pre-diabete)

> 126 mg/dl (in più di un esame) diabete

Come interpretare i risultati dell’esame

Elevati livelli di glucosio nel sangue sono di solito dovuti al diabete, ma possono essere causati anche da altre condizioni, quali: avvelenamento da monossido di carbonio (CO), obesità, tumori cerebrali, ictus cerebrale, infarto cardiaco, insufficienza renale cronica, ipertiroidismo, neoplasia del pancreas, pancreatite, sindrome di Cushing, stress, acromegalia, uso di alcuni farmaci (pillola anticoncezionale, diuretici e alcuni antidepressivi). Valori inferiori a quelli ritenuti normali possono essere determinati da: eccessiva assunzione di alcol, cirrosi epatica, malattie epatiche croniche, digiuno o malnutrizione, ipotiroidismo, tumori del pancreas, tumori dell’ipofisi, sarcomi, uso di alcuni farmaci (betabloccanti, steroidi anabolizzanti), eccesso di insulina.

Informazioni aggiuntive

Oltre che a digiuno, la misurazione del glucosio può essere effettuata anche vicino ai pasti. Per esempio, il cosiddetto test da carico di glucosio consiste in una serie di misurazioni del glucosio effettuate a tempi diversi dall’assunzione di una quantità standard di glucosio. Questo esame è usato per seguire i livelli di glucosio nel tempo ed è indicato, così come il test del glucosio a digiuno, per la diagnosi del diabete.

In entrambi i casi per confermare la diagnosi occorre ripetere il test almeno due volte.

La tabella seguente mostra l’associazione tra valori di glicemia (a due ore dall’assunzione di 75 mg di glucosio) e rischio di ammalarsi di diabete:

valori di glucosio a 2 ore dall’assunzione di 75 g di glucosio Rischio diabete

140 mg/dl nella norma

140-200 mg/dl a rischio diabete (pre-diabete)

> 200 mg/dl (in più di un esame) diabete

Esiste anche il test del glucosio urinario, che misura la concentrazione di glucosio nelle urine e che rientra nelle analisi delle urine eseguite di routine. In genere ciò che causa aumenti della glicemia produce anche un incremento del glucosio nelle urine.

PROTEINA C REATTIVA (CRP)

Che cosa misura

Il test misura la concentrazione della proteina C reattiva (CRP) nel sangue. La CRP è una sostanza prodotta dal fegato e poi rilasciata nel circolo sanguigno. In condizioni normali i suoi livelli nel sangue sono bassi, ma in presenza di un’infezione o di uno stato infiammatorio possono aumentare anche di migliaia di volte nel giro di poche ore. In questi casi, la crescita della CRP è molto rapida e precede il manifestarsi di sintomi classici dell’infiammazione, come la febbre o il dolore. Il ritorno di CRP a valori normali è altrettanto rapido: non appena l’infiammazione scompare anche la proteina cala.

Quando e perché il test è indicato

Il test della CRP viene utilizzato per accertare la presenza di uno stato infiammatorio, ma non è specifico per la diagnosi di nessuna malattia. In genere il medico ricorre alla misurazione della CRP nel sangue quando sospetta una malattia infiammatoria, come alcuni tipi di artrite (artrite reumatoide), malattie autoimmunitarie (lupus eritromatosus), disturbi infiammatori dell’intestino (morbo di Chron). Essendo CRP un marcatore generale di infiammazione, un eventuale aumento della sua concentrazione deve allertare il medico che provvederà a prescrivere esami più approfonditi per poter effettuare una diagnosi di malattia.

Il test della CRP viene usato anche per determinare l’efficacia di una terapia antinfiammatoria, oppure per valutare l’insorgenza di infezioni batteriche o virali nelle persone a rischio (per esempio nei pazienti che hanno appena subito un intervento chirurgico).

Come si fa il test

Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. In laboratorio viene poi eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione della proteina nel campione di sangue prelevato.

Quali sono i valori normali

Nelle persone sane il valore medio della CRP è compreso tra 0,5 mg/L e 10 mg/L, con una variabilità che dipende dall’età e dal sesso del paziente.

Come interpretare i risultati dell’esame

Per la maggior parte dei casi di infezione e infiammazione si registrano incrementi della CRP, misurabili attraverso il test, che vanno da 10 mg/L a 1000 mg/L.

Informazioni aggiuntive

Esiste anche un altro esame che misura la CRP: esso è definito test per la CRP ad alta sensibilità. A differenza dell’esame a bassa sensibilità (vedi sopra), che può misurare solo valori di CRP superiori a 10 mg/L, questo test è in grado di rilevare variazioni di piccole quantità della proteina, misurando concentrazioni comprese tra 0,5 e 10 mg/L. Il test ad alta sensibilità è stato indicato per valutare il rischio cardiovascolare in persone sane, visto che diversi studi hanno evidenziato un’associazione tra aumento della CRP e malattia cardiovascolare. A oggi, però, non c’è un consenso generale degli addetti ai lavori su quando effettuare questo test e su come interpretarlo. Infatti, un aumento dei livelli di CRP riflette la presenza di infiammazione, ma non indica necessariamente che l’infiammazione abbia luogo nelle pareti delle arterie, a livello delle placche aterosclerotiche, e che sia quindi collegata a un rischio cardiovascolare. In ogni caso, nonostante la questione sia ancora controversa, il test può essere prescritto insieme ad altri esami che valutano il rischio cardiovascolare, come la misurazione del colesterolo buono (HDL) rispetto a quello totale e la determinazione dei trigliceridi.

Inoltre sono state definite tre classi di rischio cardiovascolare, che corrispondono ad altrettante concentrazioni della CRP:

Rischio cardiovascolare Concentrazione CRP

basso meno di 1 mg/L

moderato 1-3 mg/L

elevato

Un altro esame usato per valutare uno stato infiammatorio è il test della velocità di sedimentazione dei globuli rossi (ESR). A differenza della CRP, però, la velocità di sedimentazione dei globuli rossi varia più lentamente; perciò, la proteina C reattiva è un marcatore di infiammazione più precoce, e quindi preferibile, rispetto a ESR.

COLESTEROLO

Che cosa misura

L’esame misura la concentrazione di colesterolo nel sangue: con tre misurazioni diverse si ottengono i livelli di colesterolo totale, HDL (o colesterolo buono) e LDL (o colesterolo cattivo). Il colesterolo è un tipo di grasso in parte prodotto dall’organismo e in parte introdotto con la dieta. Esso è essenziale per la vita perché forma le membrane delle cellule, è usato per sintetizzare alcuni ormoni indispensabili per la crescita, lo sviluppo e la riproduzione, e forma gli acidi biliari che partecipano all’assorbimento intestinale dei grassi.

Una piccola parte di colesterolo è presente nel sangue dove è legato a speciali proteine chiamate lipoproteine.

Alcune di esse, le HDL (lipoproteine ad alta densità), trasportano il colesterolo in eccesso dai tessuti al fegato, dove viene eliminato; altre, le LDL (lipoproteine a bassa densità), lo trasportano invece in periferia, favorendo il suo deposito nei tessuti.

Quando e perché il test è indicato

A differenza di altri esami, questo test non viene usato per diagnosticare o seguire la progressione di una malattia, ma per valutare il rischio di sviluppare una malattia, nello specifico la malattia cardiaca (malattia coronarica, infarto cardiaco). Visto che livelli elevati di colesterolo LDL si associano a indurimento delle arterie, malattie cardiovascolari e rischio di morte per attacco cardiaco, il suo controllo fa parte di una pratica preventiva di routine. Negli adulti al di sopra dei 20 anni la misurazione del colesterolo dovrebbe essere effettuata almeno una volta ogni cinque anni; la frequenza dei controlli aumenta (anche diverse volte l’anno), nei pazienti che seguono una dieta specifica o che assumono farmaci per abbassare il colesterolo: in questi casi il test serve a determinare l’efficacia della terapia o del cambiamento dello stile di vita.

Come si fa il test

Per determinare la colesterolemia, cioè la concentrazione di colesterolo nel sangue, è sufficiente un prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Il test, però, può essere anche effettuato su campioni di sangue prelevati pungendo con un ago la punta di un dito. Non è necessario digiunare prima dell’esame, perché un singolo pasto non altera i livelli di colesterolo nel sangue. Esso varia in seguito a cambiamenti delle abitudini alimentari, per esempio con il passaggio da una dieta ricca di grassi a una dieta povera di grassi, ma sono necessarie diverse settimane. Il test per le LDL richiede invece un digiuno di 12 ore, visto che LDL è calcolato in modo indiretto a partire dai risultati di altri esami che richiedono il digiuno.

Quali sono i valori normali e quelli anomali

I diversi valori di colesterolo sono associati a un rischio più o meno elevato di sviluppare una malattia cardiovascolare; in generale, valori elevati di colesterolo totale e LDL sono associati a un alto rischio cardiovascolare, mentre il colesterolo HDL è inversamente proporzionale al rischio: quanto maggiore è HDL, tanto minore è il rischio. Nella tabella che si può aprire cliccando sul link qui sotto sono riportati tre valori indicativi di colesterolo. Tuttavia va precisato che una vera concentrazione di colesterolo deisderabile valida per tutti non esiste. Essa infatti varia a seconda della presenza di altri fattori di rischio. Per questo una donna, per esempio, senza familiarità per malattie cardiovascolari e non in sovrappeso, avrà un valore di colesterolo desiderabile molto più alto da quello di un uomo diabetico, obeso e fumatore. Quest’ultimo, infatti, a causa dei numerosi fattori di rischio già presenti, dovrà essere molto più «evero» nel ridurre il proprio colesterolo.

I valori del colesterolo e il rischio cardiovascolare

Valore (rischio cardiovascolare) Colesterolo totale Colesterolo cattivo (LDL) Colesterolo buono (HDL) > 60 mg/dl

Desiderabile (rischio basso) < 200 mg/dl < 130 mg/dl > 60 mg/dl

Limite (rischio moderato) 200-240 mg/dl 130-160 mg/dl 40-60 mg/dl

Elevato (rischio elevato) > 240 mg/dl > 160 mg/dl < 40 mg/dl

Come interpretare i risultati dell’esame

Il colesterolo può aumentare sia per una predisposizione ereditaria, sia per una dieta ricca di cibi ad alto contenuto di grassi (come uova e latticini). Un aumento del colesterolo totale può essere spia delle seguenti malattie: alcune malattie ereditarie (ipercolesterolemia poligenica e iperlipemia familiare multipla), ipotiroidismo, malattie dei reni (sindrome nefrosica, glomerulonefriti), disglobulinemia, ittero colestatico e ostruzioni biliari, pancreatite cronica, malattia di Cushing, diabete, obesità, porfiria acuta intermittente.

Anche alcuni farmaci possono innalzare i livelli di colesterolo, per esempio: steroidi anabolizzanti, corticosteroidi (cortisone), beta bloccanti, adrenalina, pillola anticoncezionale, vitamina D. Una riduzione del colesterolo può invece indicare: deficit di alfa lipoproteina, ipertiroidismo, insufficienza epatica, alcuni tipi di anemia, malnutrizione, uremia, morbo di Addison. Riduzioni temporanee del colesterolo possono verificarsi durante una malattia acuta, dopo un attacco cardiaco o in condizioni di stress (per esempio dopo un intervento chirurgico o un incidente). Ci sono controversie sugli effetti dei bassi livelli di colesterolo.

Valori inferiori a 100 mg/dl sono di solito associati a malnutrizione, malattie epatiche e alcuni tipi di tumore, ma non esiste alcuna evidenza che uno di questi disturbi sia causato dal colesterolo basso. Per quanto riguarda il colesterolo HDL, quello buono, esso diminuisce nei seguenti casi: diabete, alcune malattie a carico di reni e fegato, malattie infettive e iperlipoproteinemia di tipo IV. La sua diminuzione è un fattore di rischio per l’aterosclerosi e quindi per l’insorgenza di infarto cardiaco e malattie a carico dei vasi sanguigni.

Un suo aumento, invece, può essere dovuto ad alcune malattie del fegato (cirrosi biliare primitiva, epatite cronica).

Informazioni aggiuntive

Oltre ai livelli elevati di colesterolo totale e LDL e ai bassi livelli di HDL, esistono altri fattori di rischio cardiovascolare. I principali sono: fumo, età (> 45 anni per i maschi, 55 anni per le femmine), ipertensione (> 140/90 mmHg), una storia familiare di malattie coronariche.

I trattamenti consigliati in caso di colesterolo elevato sono: una dieta povera di grassi saturi (che può ridurre i livelli di colesterolo fino all’8 per cento) e l’assunzione di farmaci (statine, fibrati, niacina).

Talvolta si possono riscontrare da un mese all’altro fluttuazioni dei livelli di colesterolo (fino al 10 per cento), anche in assenza di una terapia o di un cambiamento della dieta. Esse dipendono da una variabilità biologica intrinseca del metabolismo.

TRIGLICERIDI

Che cosa misura

Questo esame misura la concentrazione dei trigliceridi nel sangue. I trigliceridi sono la forma di immagazzinamento dei grassi nell’organismo e sono utilizzati come scorta di energia. Essi derivano soprattutto dalla dieta e in piccola parte sono prodotti dall’organismo (fegato); una volta introdotti o sintetizzati, i trigliceridi vengono accumulati nel tessuto adiposo (tessuto grasso), oppure sono usati dal muscolo come fonte di energia. Una quota di trigliceridi è presente anche nel sangue, sottoforma di palline di grasso e proteine, chiamate chilomicroni e VLDL.

Quando e perché il test è indicato

La determinazione dei trigliceridi nel sangue rientra nel cosiddetto profilo lipidico, un insieme di esami che comprende anche la misurazione del colesterolo totale, HDL (colesterolo buono) e LDL (colesterolo cattivo) e che serve a determinare il rischio cardiovascolare.

Come si fa il test

E’ necessario un semplice prelievo di sangue dalla vena di un braccio. Talvolta il campione può essere ottenuto pungendo con un ago la punta di un dito. L’esame dev’essere preceduto da 12-14 ore di digiuno, perché dopo i pasti la concentrazione dei trigliceridi nel sangue tende ad aumentare (anche di 5-10 volte rispetto al digiuno). Inoltre non si dovrebbe consumare alcol nelle 24 ore che precedono l’esame.

Quali sono i valori normali e quelli anomali

A digiuno i valori normali dei trigliceridi nel sangue sono: 50-170 mg/dl.

Come interpretare i risultati dell’esame

I trigliceridi possono aumentare sia per predisposizione ereditaria sia per diete ricche di grassi. L’aumento dei trigliceridi nel sangue rappresenta un importante fattore di rischio per le malattie cardiache e il diabete.

Oltre agli eccessi della dieta, un aumento dei trigliceridi può indicare le seguenti condizioni: un’eccessiva assunzione di alcol, alcune malattie ereditarie, come il deficit familiare di lipasi lipoproteica (valori superiori a 700 mg/dl) e l’ipertrigliceridemia endogena familiare (valori anche superiori a 1000 mg/dl), il diabete, l’obesità. Alcuni farmaci aumentano i livelli di trigliceridi nel sangue: corticosteroidi (cortisone), pillola anticoncezionale, estrogeni, alcuni diuretici (furosemide), alcuni agenti antifungini (miconazolo), eccetera.

Quando i valori sono molto alti (superiori a 1000 mg/dl), c’è il rischio di sviluppare una pancreatite, cioè un’infiammazione del pancreas. In questi casi il medico dovrebbe prescrivere subito un trattamento per ridurre i trigliceridi. Una diminuzione dei trigliceridi si osserva invece nelle seguenti condizioni: insufficienza epatica, malassorbimento intestinale, malnutrizione, ipertiroidismo, iperparatiroidismo, malattie epatiche gravi. Alcuni farmaci fanno diminuire i trigliceridi nel sangue: clofibrati, eparina, androgeni, steroidi anabolizzanti, vitamina C, eccetera.

Informazioni aggiuntive

Mentre l’aumento del colesterolo circolante è sicuramente associato a un aumento del rischio di arteriosclerosi (l’indurimento delle arterie che può ostacolare il flusso del sangue) e quindi di malattie cardiovascolari, l’aumento dei trigliceridi nel sangue non ha un significato così chiaro. Probabilmente è anch’esso legato all’aumento del rischio cardiovascolare, ma non direttamente: le varie forme di grasso dell’organismo (colesterolo e trigliceridi), infatti, sono collegate fra loro e le alterazioni di una modificano l’equilibrio delle altre. L’aumento dei trigliceridi è invece sicuramente legato in modo diretto ad alcune condizioni patologiche del pancreas.

CALCIO (CALCEMIA O CALCIO SIERICO)

Che cosa misura

Il test misura la calcemia, cioè la concentrazione di calcio nel sangue. Il calcio è uno dei più importanti minerali dell’organismo e si trova per il 99 per cento nelle ossa. Quasi tutto il calcio rimanente circola nel sangue, dove può essere presente in forma libera o legato a speciali proteine, dette proteine plasmatiche.

Quando il medico prescrive il test della calcemia, in genere richiede la misurazione del calcio totale, cioè sia la forma libera sia quella legata. In alcune situazioni, per esempio durante gli interventi chirurgici, soprattutto quando vengono effettuate trasfusioni di sangue, può essere richiesta anche la misurazione del calcio libero.

Quando e perché il test è indicato

La misurazione della calcemia è indicata come parte degli esami di routine, per accertarsi che i valori del calcio siano nella norma. L’esame viene usato anche per favorire la diagnosi e seguire l’andamento di malattie delle ossa, dei denti, dei reni e dei nervi. Quindi il medico lo prescrive in presenza di sintomi che indichino: – malattie renali, come l’insufficienza o i calcoli renali; – ipercalcemia (aumento della calcemia): debolezza, fatica, perdita d’appetito, nausea, stitichezza, dolori addominali, orinazione frequente, aumentata sete, calcoli renali; – ipocalcemia (diminuzione della calcemia): crampi addominali e muscolari, formicolii alle dita; – condizioni associate a variazioni della calcemia come: malnutrizione, malattie della tiroide e dell’intestino, alcuni tumori (seno, polmone, testa e collo, reni, mieloma multiplo).

Come si fa il test

Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio.

Quali sono i valori normali e come interpretare i valori anomali

Valori normali Se aumenta (ipercalcemia) Se diminuisce (ipocalcemia)

bambini: 9-11 mg/dl adulti: 9-10,7 mg/dl infezioni, infiammazione,iperparatiroidismo (aumento della funzione delle ghiandole paratiroidi, dovuta di solito a tumori benigni), tumori con metastasi alle ossa, ipertiroidismo (aumento della funzionalità della tiroide), fratture ossee combinate a immobilizzazione prolungata, eccessiva assunzione di vitamina D, trapianto di reni, tubercolosi, sarcoidosi, mieloma, assunzione di alcuni diuretici (tiazidici). leucemie, traumi, stress ipoparatiroidismo (inattività delle ghiandole paratiroidi), ridotta assunzione di calcio con la dieta per malnutrizione o malassorbimento, ridotti livelli di vitamina D, rachitismo e altre malattie delle ossa, eccesso di fosforo, carenza di magnesio, infiammazione acuta del pancreas, insufficienza renale cronica, alcolismo, assunzione di farmaci anticonvulsivanti (barbiturici, idantoinici).

In genere livelli di calcitonina molto alti (> 500 pg/ml) sono un buon indicatore di iperplasia benigna o di carcinoma midollare della tiroide; per confermare la diagnosi, però, sono necessari altri esami, come la biopsia tiroidea, l’ecografia o la Tac.

Informazioni aggiuntive

E’ possibile effettuare una misurazione del calcio anche nelle urine. Questo esame indica quanto calcio viene eliminato dai reni e viene prescritto quando la calcemia è anomala oppure in caso di sospetti calcoli renali.

Per avere un quadro più completo, il medico può confrontare i risultati del test della calcemia con quelli di altri esami del sangue: il paratormone e la vitamina D, sostanze coinvolte nel mantenimento dell’equilibrio del calcio, l’albumina, la principale proteina plasmatica che lega il calcio, il fosforo e il magnesio.

PARATORMONE

Che cosa misura

Il test misura la concentrazione di paratormone (PTH) nel sangue. Il PTH è un ormone, cioè una proteina, ed è prodotto dalle paratiroidi, piccole ghiandole posizionate vicino alla tiroide. Il PTH regola l’equilibrio del calcio all’interno dell’organismo. Quando i livelli di calcio nel sangue sono bassi, le paratiroidi rilasciano il PTH, che determina aumenti della calcemia agendo in tre modi diversi: aumentando il rilascio di calcio dalle ossa, favorendone l’assorbimento intestinale (attraverso la vitamina D) e diminuendone l’eliminazione attraverso le urine. Quando il calcio torna ai livelli normali, il PTH diminuisce.

Quando e perché il test è indicato

Quando e perché il test è indicato

L’esame serve a determinare se il PTH risponde in modo adeguato alle variazioni di calcio nel sangue.

Il medico lo prescrive quando i valori del calcio nel sangue sono più alti (ipercalcemia) o più bassi (ipocalcemia) della norma, quando vuole valutare il funzionamento delle ghiandole paratiroidi, oppure quando ci sia il sospetto di una malattia renale. Inoltre, il PTH viene controllato regolarmente nei pazienti con malattie che alterano l’equilibrio del calcio o che sono in cura per disturbi delle paratiroidi.

Come si fa il test

E’ sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio. Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. In laboratorio viene poi eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione della proteina nel campione di sangue prelevato.

Quali sono i valori normali

I livelli di PTH variano molto durante la giornata, raggiungendo un picco alle due di mattina. In genere il prelievo si fa verso le otto del mattino. La concentrazione media è pari a 1-5 pmol/L.

Come interpretare i risultati dell’esame

Come interpretare i risultati dell’esame

Bassi livelli di PTH possono essere dovuti a: condizioni che causano ipercalcemia, ipoparatiroidismo, una condizione caratterizzata da una ridotta produzione di PTH. Aumenti di PTH possono dipendere da: iperparatiroidismo primario, in genere causato da un tumore benigno delle paratiroidi, iperparatiroidismo secondario, dovuto per esempio a insufficienza renale, assunzione di alcuni farmaci (rifampicina, fosfati, anticonvulsivanti, steroidi, litio, isoniazide). Per interpretare correttamente i risultati del test del PTH, bisogna confrontarli con i valori di calcio. Se sia il calcio che il PTH sono normali, significa che il sistema di regolazione del calcio funziona bene. Se invece uno o entrambi i parametri sono alterati, bisogna fare una valutazione specifica della situazione, come mostrato nella tabella seguente.

calcio alto (ipercalcemia)calcio basso (ipocalcemia)

PTH alto iperparatiroidismo primario: per determinarne cause e gravità, il medico può prescrivere una radiografia. il sistema non funziona. In base alla gravità dell’ipocalcemia, il medico dovrà investigare prescrivendo altri esami, come vitamina D, fosforo e magnesio, e valutando la funzionalità dei reni.

PTH basso il sistema di regolazione della calcemia basato sul PTH funziona bene, ma il medico dovrebbe fare ulteriori indagini per scoprire le cause dell’ipercalcemia. probabile ipoparatiroidismo.

VITAMINA D (CALCIDIOLO E CALCITRIOLO)

Che cosa misura

Il test misura la concentrazione di due forme della vitamina D nel sangue, il calcidiolo e il calcitriolo. La vitamina D regola l’equilibrio del calcio e del fosforo, favorisce l’assorbimento intestinale del calcio ed è un composto fondamentale per la formazione e la crescita di denti e ossa. Essa può derivare dalla dieta o essere sintetizzata nella pelle in seguito a esposizione ai raggi solari. La vitamina D così prodotta deve però subire altre due modificazioni prima di diventare attiva: la prima avviene nel fegato, dove si forma il calcidiolo, un composto intermedio ancora inattivo; la seconda nei reni, dove il calcidiolo è convertito in calcitriolo, la forma attiva. Con due misurazioni diverse si possono determinare sia la concentrazione del calcidiolo sia quella del calcitriolo. Il calcidiolo rappresenta la principale scorta di vitamina D dell’organismo e il test che lo misura serve ad assicurare che il corpo ne abbia una riserva adeguata. Il test del calcitriolo, invece, serve a garantire che i reni convertano la giusta quantità di calcidiolo nella forma attiva.

Quando e perché il test è indicato

Il test può essere utilizzato per aiutare la diagnosi di malattie delle ossa (rachitismo e osteomalacia), delle ghiandole paratiroidi o dell’intestino. Il medico lo prescrive in presenza di: – deformazioni e fragilità ossee, che sono sintomi di rachitismo nei bambini e osteomalacia negli adulti; – valori anomali di calcio, fosforo e/o paratormone, per vedere se questi siano associabili a una carenza o a un eccesso di vitamina D; – malattie che alterano l’assorbimento intestinale dei grassi (morbo di Chron, fibrosi cistica), per assicurarsi che i pazienti abbiano una quantità adeguata di vitamina D; – malattie che provocano una produzione extra renale di calcitriolo (sarcoidosi e alcuni linfomi). Il test è usato anche per valutare l’efficacia di una supplementazione della dieta con vitamina D, calcio o fosforo.

Come si fa il test

E’ sufficiente il prelievo di un campione di sangue dalla vena di un braccio. Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. In laboratorio viene poi eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione di una o di entrambe le forme di vitamina D (calcidiolo e calcitriolo) nel campione di sangue prelevato.

Quali sono i valori normali

calcidiolo (forma inattiva della vitamina D) calcitriolo (forma attiva della vitamina D)

14-42 ng/ml (in inverno)15-80 ng/ml ( in estate) 15-60 pg/ml

Come interpretare i risultati dell’esame

se aumenta se diminuisce

calcidiolo: eccessiva introduzione con la dieta (supplementi di vitamina D), alti livelli di calcio nel sangue (ipercalcemia), ispessimento delle ossa. calcidiolo: malattie delle ossa (rachitismo, osteomalacia), bassa esposizione ai raggi solari, basso apporto di vitamina D con la dieta, problemi di assorbimento intestinale (morbo di Chron), assunzione di farmaci antiepilettici (fenitoina) che possono interferire con la produzione epatica di calcidiolo.

calcitriolo: eccesso di paratormone (molecola che favorisce l’attivazione della vitamina D), malattie come sarcoidosi o alcuni tipi di linfomi. calcitriolo:insufficienza renale.

Informazioni aggiuntive

Alti livelli di vitamina D e di calcio possono causare calcificazioni e danni a vari organi, soprattutto i reni, come risultato del tentativo del corpo di abbassare il calcio depositandolo sottoforma di fosfati di calcio.

CALCITONINA PLASMATICA

Che cosa misura

Il test misura la concentrazione di calcitonina nel sangue. La calcitonina è una proteina prodotta dalla tiroide, la cui funzione non è ancora del tutto chiara. Si sa però che i suoi livelli aumentano in risposta a un incremento della calcemia e che agisce riducendo i livelli di calcio nel sangue. In due malattie rare della tiroide, l’iperplasia benigna delle cellule C (tumore benigno) e il carcinoma midollare (tumore maligno), la calcitonina viene prodotta in eccesso.

Quando e perché il test è indicato

L’esame può essere usato come test di supporto per la diagnosi di due malattie rare della tiroide: l’iperplasia benigna delle cellule C e il carcinoma midollare. E’ utilizzato anche per seguire l’andamento di queste due malattie, per valutare l’efficacia delle terapie e per individuare l’eventuale ricomparsa del tumore (recidiva) a trattamento concluso. Siccome il 20-25 per cento dei carcinomi midollari della tiroide è ereditario, il test della calcitonina potrebbe essere usato per seguire i soggetti a rischio, soprattutto quelli con una storia familiare di questo tipo di tumore o con una mutazione in un gene specifico (RET).

Come si fa il test

Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. In laboratorio viene poi eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione della proteina nel campione di sangue prelevato.

I valori normali della calcitonina

Uomo Donna

meno di 19 pg/ml meno di 14 pg/ml

Come interpretare i risultati dell’esame

se aumenta se diminuisce

carcinoma midollare della tiroide, recidiva di carcinoma midollare, iperplasia benigna delle cellule C, insufficienza renale cronica, alcuni tumori (carcinoma polmonare, mammario e del pancreas endocrino), infiammazione acuta o cronica della tiroide (tiroidite), cirrosi, gravidanza, alcolismo. carcinoma midollare della tiroide, recidiva di carcinoma midollare, iperplasia benigna delle cellule C, insufficienza renale cronica, alcuni tumori (carcinoma polmonare, mammario e del pancreas endocrino), infiammazione acuta o cronica della tiroide (tiroidite), cirrosi, gravidanza, alcolismo.

In genere livelli di calcitonina molto alti (> 500 pg/ml) sono un buon indicatore di iperplasia benigna o di carcinoma midollare della tiroide; per confermare la diagnosi, però, sono necessari altri esami, come la biopsia tiroidea, l’ecografia o la Tac.

Informazioni aggiuntive

Oltre al test classico, esiste un esame definito test di provocazione della calcitonina: esso misura i livelli di calcitonina dopo stimolazione con un’iniezione di una quantità nota di calcio. Quando i valori di calcitonina misurati con il test classico sono nella norma ma persiste un sospetto clinico, il medico può prescrivere questo secondo test: esso è più sensibile del primo e può riconoscere un carcinoma midollare o un’iperplasia benigna già nelle fasi precoci della malattia. – Di solito, quando la calcitonina è elevata, gli altri test che indagano la funzionalità della tiroide (TSH, T3, T4) sono nella norma.

GLI ESAMI PER IL FERRO

SIDEREMIA O FERRO SIERICO (FERRO NEL SANGUE)

Che cosa misura

Il test misura la sideremia, cioè la concentrazione di ferro nel sangue. Il ferro è un elemento molto importante per l’organismo, perché è indispensabile per il trasporto dell’ossigeno ai tessuti e per la formazione di alcuni enzimi. In un individuo adulto sano sono presenti circa 3-5 g di ferro totale: di questo, una parte si trova nei globuli rossi (ferro legato all’emoglobina), una parte costituisce le riserve dell’organismo (ferro legato a ferritina ed emosiderina) e una parte rappresenta il cosiddetto «ferro di trasporto» (ferro legato alla transferrina), che, attraverso il sangue, è veicolato dal fegato e dall’intestino ai tessuti che ne hanno bisogno. Essendo la quota di ferro libero nel sangue trascurabile, la sideremia di fatto misura il ferro legato alla transferrina.

Quando e perché il test è indicato

Il test della sideremia serve a controllare se i livelli di ferro sono nella norma, ma non fa parte degli esami di routine. Se i valori di emoglobina ed ematocrito sono anomali, il test può essere utile per determinare le cause di un’eventuale anemia. L’esame viene anche usato nei pazienti in trattamento per una carenza di ferro, per valutare se il ferro assunto venga assorbito correttamente. Nei bambini che abbiano ingoiato accidentalmente tavolette di ferro, la misurazione della sideremia è l’unico metodo per determinare la gravità dell’avvelenamento. La sideremia può essere usata, insieme alla capacità ferro-legante totale (transferrina sierica), come esame di screening per una malattia genetica, l’emocromatosi. Intorno all’utilità di questo tipo di screening si è acceso un grosso dibattito: secondo alcuni esperti esso dovrebbe essere esteso a tutti i soggetti sopra i 20 anni, per consentire il riconoscimento e il trattamento precoce della malattia; altri, invece, non lo ritengono utile, data l’attuale impossibilità di distinguere tra i casi sintomatici e quelli asintomatici.

Come si fa il test

Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. Il prelievo dovrebbe essere eseguito di mattina, a digiuno. Inoltre, è bene evitare l’assunzione di tavolette o pastiglie di ferro nelle 24 ore che precedono il prelievo: in caso contrario i valori risulterebbero falsati.

I valori normali della sideremia (ferro nel sangue)

neonato 2-3 mesi infanzia uomo adulto donna adulta vecchiaia

170-190 microgrammi/dl 50-70 microgrammi/dl 100 microgrammi/dl 75-160 microgrammi/dl 60-150 microgrammi/dl 40-80 microgrammi/dl

Il valore del ferro è molto variabile: è più alto al mattino e si modifica a seconda delle condizioni dell’individuo in quello specifico momento; per esempio, nel corso di un’infezione si abbassa. Per ottenere risultati più precisi, bisogna misurare un’altra sostanza, la ferritina: se questa si abbassa , significa che i depositi di ferro sono molto scarsi.

Quali sono i valori anomali e come interpretare i risultati dell’esame

Bassi livelli di ferro possono essere dovuti a: aumento delle richieste, durante infanzia, gravidanza e allattamento, ridotto assorbimento (malattie del tratto gastrointestinale), emorragie, abbondanti perdite mestruali, anemia sideropenica (cioè dovuta a carenza di ferro), diabete, età avanzata, insufficienza renale, malattie infettive (tubercolosi, ascesso polmonare, endocardite batterica), malattie croniche (morbo di Chron), tumori (del seno, del polmone, linfoma di Hodgkin), infarto cardiaco, una dieta povera di ferro, assunzione di alcune sostanze (ACTH, testosterone) e di alcuni farmaci (colchicina, meticillina). Alti livelli di sideremia possono essere dovuti a: malattie genetiche (talassemie, emocromatosi), eccessive trasfusioni di sangue, emosiderosi (eccessivo accumulo di ferro), epatite virale acuta, leucemie, terapie con ferro, overdose accidentale di ferro, assunzione di alcune sostanze (estrogeni, pillola contraccettiva) e di alcuni farmaci (metildopa,cloramfenicolo).

TRANSFERRINA (CAPACITÀ FERRO-LEGANTE)

Che cosa misura

Il test misura la capacità totale del corpo di trasportare il ferro; di fatto, siccome il trasporto del ferro nel sangue è effettuato da una sola proteina, la transferrina, questa misura può essere anche espressa come concentrazione della transferrina nel sangue. La transferrina è una proteina che trasporta il ferro dall’intestino e dal fegato ai tessuti che ne hanno bisogno. Nel sangue, la transferrina può trovarsi sia in forma libera, non legata al ferro (transferrina insatura), sia in forma legata al ferro (transferrina satura).

La quota di transferrina legata coincide con il valore della sideremia.

Quando e perché il test è indicato

Il test serve a determinare la capacità del corpo di trasportare il ferro, ma è usato anche per seguire la funzionalità del fegato e per valutare lo stato nutrizionale di un individuo. L’esame non rientra nei test di routine, ma viene prescritto, insieme ai test della sideremia e della ferritina sierica, quando il medico sospetta condizioni associate a valori anomali di ferro (emocromatosi, emosiderosi, anemie, eccetera).

Come si fa il test

Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio.

Quali sono i valori normali

In un individuo adulto normale circa un terzo della transferrina sierica misurata viene utilizzata per trasportare ferro. Per calcolare rapidamente la capacità ferro-legante totale conoscendo la concentrazione della transferrina sierica, si può usare la seguente formula:

capacità ferro-legante totale (microgrammi/dl) = transferrina (mg/dl) * 1,25

I valori normali della transferrina

transferrina sierica capacità ferro-legante totale

200-300 mg/dl 250-380 microgrammi/dl

Il valore del ferro è molto variabile: è più alto al mattino e si modifica a seconda delle condizioni dell’individuo in quello specifico momento; per esempio, nel corso di un’infezione si abbassa. Per ottenere risultati più precisi, bisogna misurare un’altra sostanza, la ferritina: se questa si abbassa , significa che i depositi di ferro sono molto scarsi.

Come interpretare i risultati dell’esame

Una bassa capacità ferro-legante totale può indicare: una malattia genetica chiamata emocromatosi, anemie causate da infezioni o malattie croniche, malnutrizione, cirrosi epatica, sindrome nefrosica (una malattia renale che causa un’eccessiva perdita di proteine con le urine), assunzione dell’ormone ACTH o dell’antibiotico cloramfenicolo. Una capacità ferro-legante totale elevata indica generalmente una carenza di ferro. Per esempio, nell’anemia sideropenica (da carenza di ferro), si osserva un’iniziale riduzione della ferritina, seguita da un aumento della capacità ferro-legante totale e da una riduzione della sideremia. Anche l’assunzione della pillola contraccettiva può incrementare la capacità ferro-legante.

FERRITINA SIERICA

Che cosa misura

Il test misura la concentrazione della ferritina nel sangue. La ferritina è una proteina che lega il ferro e, insieme all’emosiderina, rappresenta la principale riserva di questo elemento nell’organismo. Oltre alla ferritina sierica, cioè quella presente nel sangue, ci sono anche le ferritine tissutali, che si trovano nel fegato, nella milza e nel midollo osseo. La concentrazione della ferritina nel sangue è in rapporto ai depositi di ferro presenti nei vari tessuti ed è quindi un ottimo indicatore della quantità di ferro a disposizione di tutto il corpo.

Quando e perché il test è indicato

L’esame serve a determinare quanto ferro di riserva è a disposizione dell’organismo. Viene prescritto, insieme ai test della sideremia e della capacità ferro-legante totale (transferrina sierica), in caso di: – sospetto eccesso di ferro dovuto a: malattie ereditarie come l’emocromatosi, eccessiva assunzione di ferro con la dieta, overdose accidentale di ferro, eccessivo accumulo di ferro (emosiderosi); – bassi valori di ematocrito ed emoglobina: in questi casi, e quando i globuli rossi sono più piccoli e meno rossi della norma (microcitici e ipocromici), una carenza di ferro potrebbe essere causa di un’anemia.

Come si fa il test

Per effettuare il test è sufficiente prelevare un campione di sangue dalla vena di un braccio. In laboratorio viene poi eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione della proteina nel campione di sangue prelevato.

I valori normali della ferritina

neonato primo mese donna uomo

25-200 ng/ml 200-600 ng/ml 20-120 ng/ml 20-300 ng/ml

Come interpretare i risultati dell’esame

Bassi livelli di ferritina possono essere dovuti a: carenza cronica di ferro, carenza di vitamina C, malnutrizione (riduzione delle proteine corporee). Una ferritina bassa (22 ng/ml), associata a valori alterati di emoglobina ed ematocrito e in presenza di globuli rossi di piccole dimensioni e meno rossi della norma (microcitici e ipocromici), indica un’anemia sideropenica (causata da carenza di ferro). Aumenti della ferritina rispetto ai valori normali possono essere dovuti a: malattie del fegato, una malattia genetica detta emocromatosi, alcuni tumori maligni (del seno, dei polmoni, del pancreas, del colon, del rene, leucemie, neuroblastoma, malattia di Hodgkin), infezioni acute e croniche, alcune malattie autoimmunitarie (artrite reumatoide e lupus eritromatosus), eccessive trasfusioni di sangue.

Informazioni aggiuntive

In caso di malattie che causano danni agli organi che contengono le ferritine tissutali (fegato, milza, midollo osseo), i livelli di ferritina nel sangue possono aumentare anche se le riserve totali di ferro nel corpo sono normali. Per questo, da soli, i livelli di ferritina non sono molto informativi nelle persone affette da infezioni croniche, tumori e malattie autoimmunitarie.

REFERTI VIROLOGICI

HBs Ag positivo in corso di infezione da virus dell’epatite B

HIV- Ab ½ positivo nell’infezione da HIV

HCV Ab positivo nell’infezione da virus dell’epatite C (HCV)

Sierodiagnosi LUE positivo in corso di infezione di sifilide